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L’identità di un popolo maritata con l’essenza stessa dell’umore agreste e contadino è l’unico percorso produttivo all’interno di una prospettiva globalizzante, onde arginare una “south-new economy” preconfezionata altrove.
Da anni ci provano gli amici Mattanza, il cui repertorio è frutto di una ricerca genuina, legata alla tradizione orale, attraverso la raccolta di canti, “cunti”, poesie e danze della regione calabrese “ultra”, narrati col piglio della modernità e la fierezza della tradizione. La necessità di preservare tale filogenesi culturale dall’indifferenza istituzionale ha suggerito l’elaborazione delle musiche, reinterpretate nel rispetto degli stilemi folk ma con echi evolutivi che arricchiscono senza ingerenze o ruffianismi di mercato i brani così recuperati, che dunque rilucono di abbacinata “umanità terminale”, con le loro arie dilatate, gli estri vocali e le armonie circolari.
Ma “Mattanza” deriva dal verbo spagnolo matar “uccidere”, con il quale si vuole sottolineare l’indomita resistenza di un popolo, le contraddizioni di una terra aspra e dolce, dove i contrasti paesaggistici, il dionisiaco spumeggiare di un mare avaro e l’inestricabilità di un monte tormentato si stemperano al cospetto dell’incanto, ineffabile, del nuovo sole.
(Antonio Amodei, giornalista)
Ho sempre pensato che le storie, che ormai languono nella nostra comunicazione quotidiana, e i riti, che si creano attorno al raccontare, siano una forma esemplare di coscienza collettiva, la possibilità per una comunità di conservare la propria memoria, di riflettere sulla propria storia, per potersi, da lì, proiettare avanti, con salde e stabili radici su cui poggiare.
Il nostro mondo “globale” ha bisogno di un tale radicamento, pena la sua sopravvivenza.
La ricerca musicale dei Mattanza parla, già nel nome, di quelle storie e di quei riti, riscopre, nella cultura popolare, la forza di un pensiero poetante, che non ragiona in modo astratto, ma è utile nella sua bellezza e bello nella sua necessità.
Musica concreta e poetica, “intera” ho voglia di chiamarla, che parla alla nostra anima moderna e frammentata avida di stupore e la rigenera.
Rare oggi le fonti e i luoghi di quel tempo circolare che crea e trasforma, senza scoppi e pause forzate, lungo la forza sfrenata del tempo del progresso: Nesci suli sgorga da quei luoghi.
(Isabella Carloni, attrice e cantante)
Dopo varie vicissitudini abbiamo deciso di autoprodurci questo disco, frutto di tanto lavoro e grazie alla fattiva collaborazione di amici disinteressati.
Siamo convinti che un popolo senza storia è come un albero senza radici: è destinato a morire! In tanti anni di ricerca abbiamo “assorbito” il più possibile per riproporre ed interpretare, in chiave attuale, le ricchezze che i nostri anziani (ormai in pochi) conservano nella loro memoria.
Grazie a loro abbimo scoperto gioielli di letteratura popolare. Non è approfondimento culturale fino a se stesso o che si vuole tingere di malinconia, ma vuole essere una riproposizione di poesia popolare ancora fresca e viva per il suo affrontare il quotidiano con mimenti di gioia e di dolore.
(Mimmo Martino)
Hanno inciso Nesci Suli:
Mimmo Martino – voce solista, flauto dolce, darabouka
Salvatore Familiari – chitarra classica, chitarra battente
Vittorio Romeo – fisarmonica
Carmelo Zumbo – chitarre, bouzouky, basso, mandola, mandolino
Alfredo Verdini – lira calabrese, percussioni, batteria
Marco Modica – violino, basso
Manuela e Daniele Romeo – voci soliste, cori
Simone Martino – chitarra classica. mandolino, cori
Musiche e adattamento dei testi tradizionali Domenico Martino.
Arrangiamenti: Salvatore Familiari, Vittorio Romeo, Carmelo Zumbo.
Registrato, mixato e masterizzato: Studio Arsnova di Enzo Petea.
Editing & Programming: Enzo Petea.
Fonico: Consolato Morabito.
Mixaggio: Familiari, Martino, Morabito, Petea.
Marco Modica suona bassi “Oliver”
Un grazie particolare a Natale Centofanti, Antonio Amodei, Isabella Carloni, Michael Pergolani eRenato Marenco.
Illustrazione copertina: Claudio Martino da foto di Adriana Sapone.