23Settembre23 Settembre 2023
La nostra storia
Correva l’anno 1997.
Mattanza.
Dal sostantivo spagnolo matanza “strage, uccisione”, derivato dal verbo matar “uccidere”.
La mattanza denunciata dalle note, dai testi e dai ritmi dei Mattanza è quella della cultura, della storia, delle tradizioni popolari. Una mattanza che deve essere evitata con ogni mezzo, perché «un popolo senza storia è come un albero senza radici: è destinato a morire», come recita alla fine di ogni concerto Mimmo Martino, fondatore e leader del gruppo. I musicisti che compongono i Mattanza lavorano da sempre per valorizzare la cultura popolare, attraverso un linguaggio musicale nuovo e accessibile a tutti. La loro strumentazione prevalentemente acustica pone l’accento sull’etnocidio in atto ormai da decenni: i loro concerti, caldi, pieni e coinvolgenti come solo il Sud sa essere, trattano tematiche specifiche del Mezzogiorno, riscoprendo testi, filastrocche, proverbi, poesie e ninne nanne altrimenti sconfitti dall’oblio e dall’impoverimento culturale. La storia dei Mattanza è come l’individuazione delle radici: faticosa, fatta di piccole scoperte e di grandi ricerche. A caratterizzare il gruppo è l’irresistibile crocevia di suoni e liriche che attingono dalla tradizione popolare calabrese con tutta la potenza della saggezza antica, ma con la freschezza di una nuova concezione musicale, solo in parte etnica, molto di più visione ellittica di atmosfere sonore e paesaggi melodici.
Ma quanto lontane nel tempo sono le radici e le ricerche che hanno portato Mimmo Martino alla creazione dei Mattanza? Almeno quarant’anni.
Era la fine degli anni Sessanta quando, tra Parma, Bologna e Reggio Emilia, con una band chiamata “I rifiuti”, Mimmo Martino faceva rock durissimo.
Rientrato a Reggio Calabria, sua città natale, passò, un po’ costretto dagli eventi, alla musica leggera con i “Rubacuori”. «Cantavamo nei matrimoni e nelle feste private», racconta Mimmo. «Tutto ciò mi dava una discreta soddisfazione economica, ma non era quello che desideravo professionalmente».
L’occasione giusta arrivò nel ’76, quando Mimmo, con il gruppo “Campanella” (poi “Gruppo di Ricerca Popolare Tommaso Campanella”, e poi ancora “Folklub”), si trovò ad eseguire canzoni di lotta programmate dall’Arci nell’ambito delle feste dell’Unità. «Questa esperienza mi portò a girare nei piccoli centri rurali calabresi, ad ascoltare la gente che vi abitava. Un giorno incontrai un’anziana signora sull’uscio di casa. Piangeva, le chiesi il perché e iniziò a cantare una nenia che mi fece rabbrividire, carica di sentimento. Provai a trascriverla, con tanta difficoltà, e solo dopo riuscii a capire il pianto dell’anziana donna». Comincia così per Mimmo una vera e propria raccolta sul campo dei testi, portata avanti dando ascolto all’anima della gente. «Da qui iniziò la mia ricerca, la trascrizione di ciò che sentivo, frutto delle chiacchierate con la gente comune, umile, senza una grande istruzione, ma depositaria di una cultura orale millenaria. Oggi i miei archivi sono carichi di materiale: parole, pensieri e sogni che amo mettere in musica». In questa instancabile operazione di ricerca e raccolta, come pure nella vita professionale di Mimmo, fu assai significativo l’incontro con Luigi M. Lombardi Satriani, insigne etnologo e Professore Ordinario di Antropologia Culturale all’Università “La Sapienza” di Roma. L’esperienza musicale coi “Folklub” si conclude nel 1986, ma l’appassionato lavoro di ricerca di Mimmo prosegue per oltre un decennio, fino alla fondazione dei Mattanza.
Correva l’anno 1997, appunto. Da allora, con enorme forza di volontà, i Mattanza si fanno carico della trentennale eredità lasciata loro da Mimmo e della responsabilità di portare avanti il suo stesso, infaticabile lavoro di ricerca e salvaguardia della cultura popolare calabrese.